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Racconto umoristico: “Supereroe di quartiere” (puntata 1 di 8)

eliportoL’indomani. Come ogni giorno. Quarantacinque minuti, settanta chilometri, quattro semafori, tre svincoli di russate. Lascio il vecchio alla stazione. Vado non proprio dritto dritto a lavoro. Tappa al Bar Roma. Tappa al Bar Tortona. Tappa a casa di Nico a comprare il fumo. Arrivo in ufficio che sono le 9 e 15. Quindici minuti di ritardo. Ritocco l’orologio. Timbro e sono in orario. Entro in ufficio e penso ‘guardala in faccia guardala in faccia guardala in faccia’. Entro in ufficio e … trovo Andrea a discutere con il supereroe di quartiere.

Il supereroe di quartiere pretende che Andrea sposti la macchina da dove la ha parcheggiata. La ha parcheggiata nell’apposito spazio per l’atterraggio dell’eliambulanza.

Il supereroe di quartiere, che passa le giornate alla finestra a vigilare sul quartiere, pronto a scendere in strada per rimproverare chi butta una cicca a terra, chi parcheggia fuori dagli appositi spazi, chi non differenzia oltre l’umano differenziabile, chi non rispetta i divieti di accesso, chi non attraversa sulle strisce, chi si fa di strisce, lo aveva visto parcheggiare nello spazio per l’eliambulanza, era prontamente sceso dal suo quinto piano (rigorosamente facendo le scale una ad una, meticoloso), aveva attraversato la strada (sulle strisce), era salito al nostro quarto piano (rigorosamente facendo le scale una ad una, meticoloso) e me lo ritrovo ora qui, la faccia paonazza.

– Se ci fosse un’emergenza, dove atterrerebbe l’eliambulanza? – tuona moralista. L’indice ineluttabile ad indicare Andrea.

Andrea lo guarda con aria di scherno. Calmissimo. Un sorrisetto sulle labbra. Beffardo. Saputello.
Non aspettava altro. Non aspettava che quelle precise parole.
Il supereroe era caduto nella trappola.

C’era una cosa che sfuggiva al supereroe di quartiere. E Andrea tendeva sempre a far notare al supereroe di quartiere le cose che gli sfuggivano. Sempre. E sempre con quel sorrisetto sulle labbra. Beffardo. Saputello.

Come quella volta che il supereroe scese in strada armato di fucile e sterminò un intero stormo di piccioni atavici (il piccione atavico è il piccione che non si scansa: quello che tu passi con l’auto e lui non si scansa, tu suoni il clacson e lui non si scansa, tu gli spari e lui non si scansa; il piccione atavico non vola, al massimo cammina e con calma; il piccione atavico fa una sola cosa nella sua inutile e deleterea esistenza; nemmeno caca; il piccione atavico fa una sola cosa nella sua inutile e deleterea esistenza: non si scansa). Terminata la mattanza (ma solamente terminata la mattanza: ad Andrea il piccione atavico è sempre stato ampiamente sul cazzo), Andrea si affacciò alla finestra e, col tono di un animalista convinto socio della LIPU, dal quarto piano chiese ragione al supereroe dell’eccidio. In quartierovisione

– Queste bestiacce non fanno altro che cagare sui monumenti!

Andrea tirò fuori il suo sorrisetto beffardo. Saputello.
Il supereroe tremò.

– Non ci sono monumenti in tutto il quartiere … – lo inchiodò Andrea.
Il supereroe aveva effettivamente agito in maniera avventata.

Era stato colto alla sprovvista.
Di nuovo.
E in quartierovisione.
Guardò prima a destra. Smarrito. Alla disperata ricerca di un monumento. Uno qualsiasi. Guardò a sinistra. Smarrito. Alla disperata ricerca di un monumento. Uno qualsiasi. Se ne tornò in casa. Al quinto piano. Rigorosamente facendo le scale una ad una. Meticoloso. La coda tra le gambe.

Non si fece vedere per due giorni.

Il terzo giorno arrivai a lavoro e trovai, in mezzo al giardino antistante il nostro edificio, una statua. La Arcuri. Una statua che rappresentava la Arcuri. Il supereroe aveva indubbiamente poco senso artistico. Ma forte senso del testosterone. Un gruppetto di quattorquindisedicenni pustolosopippettari non uscì di casa (per la precisione: di bagno) per le successive due settimane.

… continua…

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