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Racconto umoristico: “Quello che non capisco” (puntata 4 di 9)

solitarioTra lavorare e simulare di lavorare il confine è labile.
Talmente labile che, alle volte, simulare di lavorare diventa un vero e proprio lavoro.
Nel senso che perdi più tempo ed energie per simulare di fare una cosa che per farla.
E nel senso che vieni pagato per simulare di lavorare. Che, propriamente parlando, è il mio caso.

Io infatti non lavoro. Anche perché, detto onestamente: non so in cosa possa consistere il mio lavoro. Mi presentai al colloquio. Feci tanti sì con la testa. Il mio capo parlava parlava. Io feci tanti sì con la testa. Ma mica lo ascoltavo. Ero nervoso.
Mi assunse. Io firmai e feci tanti sì con la testa.
Pensavo che il giorno dopo qualcuno mi avrebbe spiegato in cosa consisteva il mio compito. Io non chiesi. Ero in imbarazzo. Neanche sapevo di preciso di cosa si occupava la azienda. I giorni passarono. Io non chiesi.
Nessuno mi spiegò.
Nessuno mi ha mai spiegato.
Nessuno ha mai controllato il mio operato.

La cosa bella del lavorare in una grande azienda è che nessuno sa cosa fa il suo compagno di scrivania, figuriamoci cosa fa quello all’altro lato dell’ufficio, figuriamoci cosa fa quello di un altro ufficio.

Dovendo rispondere in maniera sincera alla domanda “cosa fai nella tua giornata tipo a lavoro?”, potrei dire che sbuffo, dico parolacce, impreco, quando qualcuno mi chiede qualcosa dico di non avere tempo, di avere una scadenza, di avere un cliente, che oggi è una giornataccia. All’apice della mia interpretazione sbatto i pugni sulla scrivania e impreco, “cazzo”. Al che, puntuale ed inesorabile, si volta Marco, gay dichiarato, assiduo frequentatore del sexy shop e assiduo utilizzatori degli oggetti più impensabili reperibili nel sexy shop medesimo. “Cazzo”, ripete. Ed ammicca.

Per mesi ho pensato alla mia situazione come ad un infiltrato.
Adesso, invece, vado sempre più convincendomi di non essere l’unico. Anzi.
Come prima cosa continuo a chiedermi cosa ci facciano le venti persone presenti nel mio reparto otto ore al giorno fisse davanti allo schermo, essendo la nostra una azienda di porcellane.

Per mesi ho pensato alla mia situazione come ad un infiltrato.
Adesso, invece, vado sempre più convincendomi che tra questi computer si vadano formando i migliori giocatori di solitario, Free Cell, prato fiorito e tetris che la storia dell’umanità abbia mai conosciuto.

… continua…

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