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Racconto umoristico: “Prova costume” (puntata 4 di 6)

asteroideFu con lo spirito e la pancia piena dell’orso che va in letargo che si coricò. Si svegliò, come era preventivabile, solo qualche ora dopo. La cosa che non era preventivabile era il fatto che avesse una fame disumana. Come era possibile? Mise a bollire l’acqua per il tè. Accese la tv. Passarono nell’ordine la pubblicità di Algida, Gran Biscotto, Mc Donald’s. Prese le due fette biscottate integrali. Rigorosamente due. Rigorosamente integrali. Rigorosamente senza marmellata. Rigorosamente senza burro.

Ma era un po’ come quando decidi di non richiamarlo. Sai benissimo che non devi farlo. Sai che l’unico modo è non pensarci. Ma più cerchi di non pensarci e più ci pensi. E finisce che lo chiami. Ma stavolta no. Stavolta avrebbe resistito. Bevve il suo tè senza zucchero con le due fette biscottate integrali. Un’esperienza agghiacciante. Come si fa a bere il tè senza zucchero? Come? Bevve il suo tè e, mentre lo faceva, pensava al panetto di burro in frigo. Lo vedeva un po’ come un genitore vede il figlioletto in punizione in casa mentre tutti gli amichetti sono fuori a giocare a nascondino: le piangeva il cuore ma sapeva che era giusto così (con l’aggravante però che quel povero panetto non aveva fatto niente per meritarlo). Pensò poi alla marmellata al sambuco. Un regalo della sua amica Sara. Era già aperta. Tra dieci giorni sarebbe stata da buttare. Era un peccato. Ma resistette. Sparecchiò. Mise le stoviglie a lavare. Si sedette alla scrivania. A studiare. Studiò. Studiò. Studiò. Erano le dieci del mattino. Era da un’ora ormai che era china su quelle due pagine. Sempre le stesse. Le fissava ma non leggeva. Non faceva che chiedersi quando sarebbe finita quella tortura. Mandò qualche messaggio al bel Giorgio. Lui neanche le rispose. Lo sapeva: non avrebbe dovuto scrivergli di nuovo lei per prima! Lo sapeva!

Decise di uscire per prendere un po’ d’aria. Gelaterie, yogurterie, pasticcerie, panifici, alimentari, addirittura le bancarelle con il nocciolato e lo zucchero filato. Tirò dritto. Non si fermò. Non cedette. Era uscita volutamente senza portafoglio. Valutò per un attimo l’idea di rubare un dolcetto di marzapane, ma l’idea di dover correre per darsi alla fuga era meno allettante del continuare a patire la fame. Tornò a casa che erano le undici e trenta. Aveva camminato per un’ora e mezzo. Aveva probabilmente smaltito un mezzo chilo. Almeno così si era convinta. Senza contare che aveva deciso di fare le scale. Cioè, all’andata, per scendere. Salire quattro piani di rampe era semplicemente fuori questione. Consultò il menù per il pranzo. Una porzione di carne bianca e una di frutta. Aprì il freezer per prendere la carne. E fu lì che lo rivide. Il suo amato. Era rimasto lì ad aspettarla. Non se ne era andato quando lei gli aveva sbattuto la porta in faccia. Era lì. Il barattolino alla stracciatella. Col cuore in mano. E anche per lei fu un tuffo al cuore. Ma era un amore impossibile. Shakespeareano. Richiuse subito il freezer senza neppure prendere la carne. Avrebbe mangiato soltanto la porzione di frutta. Prese una mela. Sperò che fosse avvelenata, come nelle fiabe. Di dormire nove giorni per essere poi svegliata, dimagrita, dal suo principe azzurro barattolino Sammontana. Valutò per un attimo il fatto che immaginasse un principe azzurro di gelato e non il bel Giorgio per cui faceva tutto questo e che neanche le rispondeva ai messaggi. Lo stronzo! Perle ai porci! Prese una mela. Diede un morso incerto. Nessun sapore strano. Non doveva essere avvelenata. Mangiò la mela. E non fece che pensare a lui. Al barattolino.

Passarono le ore. Le passò sui libri. Ma quelle due pagine rimasero sempre le stesse. Come previsto dalla dieta, non fece merenda. All’ora di sera, di fronte all’insalata, si chiese come fosse possibile vivere senza mangiare pane. E si rispose che semplicemente non lo era. Una vita senza pane non era una vita degna di essere vissuta. Così come una vita senza gelati, torte, cocacole, salsiccia-e-stracchino… Mancavano otto giorni e poco più. Doveva farcela. Otto giorni.
Venne l’ora di andare a dormire e non era passato un secondo senza che lei pensasse a lui. Era amore. Non c’erano dubbi. Si svegliò nel cuore della notte. Completamente sudata. Stava sognando di essere in piscina. Sul trampolino. Di tuffarsi. E accorgersi che ad aspettarla non c’era normalissima acqua, bensì gelato alla stracciatella. Si svegliò di soprassalto e corse in cucina. Aprì il freezer. Prese il barattolino. E fece quello che doveva. Lo gettò dalla finestra. Dal quarto piano. Giù per strada. Senza neppure accertarsi di non colpire nessuno.

Tornando dalla discoteca Cosimo Pallitte vide sfracellarsi a pochi centimetri dall’auto che stava guidando quello che altro non poteva essere se non un asteroide.
Carla invece tornò a letto pensando che sudando aveva sicuramente smaltito ancora qualcosina. E, con la coscienza a posto, riuscì ad addormentarsi. Sognò di scendere in strada col cucchiaio. A salvare il salvabile. E mangiare il mangiabile.

… continua…

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