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Racconto umoristico: “Ho lo stramaledetto difetto di” (puntata 7 di 8)

bowlingFinito di farmi umiliare dal buon vecchio Andrea, mi volto e … mi par d’essere al bocciodromo.
Alessandra gioca a freccette contro Arturo. Il tabellone sulla porta del bagno. Sul tabellone una foto di Berlusconi. Alessandra vince regolarmente. Anche perché Arturo è risaputo essere un vile berlusconiano imboscato in questa tana filobolscevica. Mai oserebbe scalfire la benemerita faccia del prode cavaliere. Sbaglia apposta. Una cosa inguardabile. Al limite dell’antisportività. Alessandra invece è ipermotivata: si allena a casa con le statuette del Duomo di Milano. Sogna un futuro da Tartaglia. Ha a casa i poster. È il suo idolo. Il suo punto di riferimento nella vita.

Alessandra lancia la sua freccetta con tutta la rabbia che ha in corpo, urlando: “E QUESTO È PER IL LEGITTIMO IMPEDIMENTO!”
Dal bagno esce proprio in quell’istante Michele che per pochi centimetri non cade vittima del terrorismo rosso. La freccetta lo manca e va a distruggere lo specchio del bagno.
Michele reagisce con compostezza palpandosi le parti intime.

Michele, entrato in bagno in giacca e cravatta, ne è uscito che indossa una maglia della Juventus. Originale. Firmata. Mi avvicino per vedere da chi. Del Piero. Sono sbalordito. Ammirato. Il capitano! Leggo la dedica. Lunghissima. Devono essere amici, penso. Sono estasiato. In venerazione. Io non lo sapevo! Neanche lo sospettavo! Leggo. “A Michele. Alessandro del Piero. PS: ora che te l’ho firmata ti prego smettila di pedinarmi e di scrivermi dieci lettere al giorno, altrimenti ti denuncio”.
Ecco perché neanche lo sospettavo. Non è amicizia. È stalking.

Finito di leggere la dedica di Del Piero, getto lo sguardo in giro per l’ufficio. Al tavolo delle riunioni è in corso una serrata partita a Risiko. I gialli, partiti dall’Alberta, hanno già fatto loro il Nord America e minacciano l’Europa. Alla mia scrivania, invece, poker, con tanto di fiches, tovaglietta verde e occhiali da sole. Si punta grosso. In palio stipendi, auto, mamme.

Insomma … mi par d’essere al bocciodromo e infatti si gioca anche a bocce o meglio … a bowling. In fondo all’ufficio si stanno sistemando Erica, Aldo, Cristina e Stefania travestiti da birilli giganti. Dei costumi spettacolari. Nemmeno a Lucca Comics sono mai arrivati a tanto. Al lato opposto ‘Il Pisano’ (conosciuto come ‘Il Pisano’ perché è pisano ma se gli dai del ‘pisano’ si offende, quindi tutti lo chiamano ‘Il pisano’) prende la mira, prende la rincorsa e lancia Adele che, in un clamoroso costume da palla da bowling che occupa i due terzi del corridoio, una capriola dopo l’altra, rotola fino ai birilli.
Stefania, Aldo e Cristina cadono subito.
Erica traballa traballa traballa. Ma non cade. Non vuole cadere. Non vuole rispettare il copione.
Sempre stata una bastian contraria.
Capelli arancioni, macchina verde, vestiti in rigorosa scala cromatica dal rosa al viola, con fantasie di teschi, cuori e cazzi. Due scarpe sempre diverse. Una gialla e una viola. Una verde e una rossa. A volte due destre. A volte due sinistre. In ufficio si ricorda ancora quel giorno in cui si presentò a lavoro con infradito al piede destro e stivale militare al piede sinistro. Camminava che pareva il Dottor House.
Erica traballa traballa traballa. Ma non cade. Non vuole cadere. Non vuole rispettare il copione.
Sempre stata una bastian contraria.
A dodici anni sua mamma commise l’errore di vietarle di farsi i buchi alle orecchie. Erica tornò a casa quello stesso pomeriggio con cinque piercing. Lingua. Ombelico. Labbro. Naso. E un quinto di cui è probabilmente meglio che i suoi genitori non vengano mai a conoscenza.
Erica traballa traballa traballa.
Con tutti quei piercing si sente uno scampanellio che pare che arrivi Babbo Natale.
Erica traballa traballa traballa. Ma non cade. Non vuole cadere. Non vuole rispettare il copione.
Sempre stata una bastian contraria.
Non vuole cadere. Adele, deus ex machina, la falcia da terra. Cade anche Erica, per l’esultanza del ‘pisano’.

È così che, pochi secondi dopo, mentre ‘Il Pisano’ finge di rilasciare una intervista al cronista Michele dopo la vittoria del campionato mondiale di bowling, che arriva Benedetta, con il fiatone, paonazza.
Benedetta. Il palo.
Benedetta. Sì. Quella Benedetta. Quella che mi piace. Quella che mi dà del pippettaro.
Usa le parole segrete. Le parole in codice che conosciamo soltanto noi dell’ufficio. Le parole in codice che ci permetteranno di non essere mai smascherati.
Usa le parole segrete.
Anzi no. Se ne dimentica.
– Eccolo! Arriva il capo! Fingete di lavorare! – bisbiglia.
Anzi no. Se ne dimentica.
– Eccolo! Arriva il capo! Fingete di lavorare! – urla.
Si dimentica del trascurabile dettaglio che, se il palo urla facendosi sentire nitidamente dal capo “Eccolo! Arriva il capo! Fingete di lavorare!”, viene un tantino meno l’utilità dell’avere un palo.

In un secondo la Play sparisce nell’armadio dei contratti. Spariscono le suppliche di Del Piero. Michele torna in giacca e cravatta. Spariscono, non ho ancora capito dove, gli enormi costumi in gommapiuma da birillo (Erica si è tolta il costume, ma, onestamente, dà più nell’occhio ora che vestita da birillo gigante). Sparisce Adele, fatta rotolare e rinchiusa nel ripostiglio. Spariscono tovaglietta verde, fiches, occhiali da sole, carriarmati. In maniera scientifica. Pronti a ripartire appena rientrato l’allarme.

Benedetta mi guarda.
– Ciao, pippettaro!
Benedetta. Dimentica un sacco di cose. Dimentica un sacco di cose, tranne quelle che dovrebbe dimenticare.
Benedetta.
È palese che le piaccio! Non trovate?
Benedetta.
Andrea mi si avvicina.
Indica Benedetta.
Abbassa la voce.
Mi parla nell’orecchio.
– Non te la darà nemmeno nel 2040!

Entra il capo. Io sono ancora imbambolato.
Gli altri, invece, sono tutti favolosamente straimpegnati, straprofessionali, straseri. Le scadenze alle porte. Battono al pc. Appuntano dati su taccuini. Firmano contratti.
Il capo saluta.
Nel suo sguardo si legge la gratitudine verso quel gruppo di uomini che lavora per lui. Per la sua azienda. Per il suo marchio. Che ci dà dentro. Si spezza la schiena. Trascura la famiglia.
A quel gruppo di eroi, perché sono tutti degli eroi ai suoi occhi, va tutta la sua gratitudine.

… continua…

4 commenti su “Racconto umoristico: “Ho lo stramaledetto difetto di” (puntata 7 di 8)”

  1. se mi dai della “pisana” io non mi offendo mica… Sacchini si aggiorni meglio su usi e costumi dei cittadini che inserisce nei suoi racconti. 🙂

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