paura

Racconto umoristico: “Speriamo sia maschio” (puntata 7 di 11)

pauraPassano due ore di iperattività disorganizzata.
Poi vedo Marco. Solo. Taciturno. In un angolo. Ha perso tutta la verve che aveva e ha il visino sbiancato.
Che Carla lo abbia già lasciato?

Mi avvicino. Abbasso la voce. Dolce.
– Piccino, non è che ti sei ammalato a star fuori tutto quel tempo?
– No.
Non ne dubitavo.
– Fammi sentire la fronte.
– No.
– Dai, vieni qui.
– No.
– Ti misuro la febbre.
– No, nel culo no!

Capisco così l’origine di tanta diffidenza. Il termometro. Strumento del male.
Capisco benissimo, causa esperienze traumatiche da piccola con mia mamma che mi somministrava la tachipirina per via… diciamo così… alternativa alla somministrazione orale.

Mi metto a sedere accanto a lui e provo a spiegargli che mi accontento di un’ascella. Niente da fare. Teorico del complotto è e teorico del complotto rimane. Le torri gemelle le hanno abbattute gli americani per poter invadere l’Afghanistan, io gli voglio mettere il termometro nel culo.
– No.
Irremovibile.

Chiamiamo il padre.
Arriva dopo quaranta minuti.
Per lo sbalzo ormonale mio e delle mie colleghe.

– Lo sapevo che dovevo farti abbottonare per bene… hai la febbre, piccino? – dice al figlio.
– Nel culo, no!

Che, volendo trovare il pelo nell’uovo, non sarebbe una risposta pertinente alla domanda, ma gliene va reso atto: non si può dire che non difenda con coraggio le sue scelte.

Così piccolo, ma, diciamo, si sa guardare le spalle… si sa come è la vita: abbassi la guardia un attimo e ti ritrovi un termometro nel culo.
Il padre lo porta a casa senza riuscire a misurargli la febbre. Marco, andando via, mi guarda, mogio mogio, stiracchia un sorrisino e mi dice: “l’ho baciata”.

Marco.

Belli i miei bimbi.

… continua…

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