teschio che fuma

Racconto umoristico: “Quello che non capisco” (puntata 5 di 9)

teschio che fumaNel silenzio professionale si fa largo una voce sovversiva.
“Pausa?”.
La voce è timida. Timorosa. Fioca.
Ma è l’idea quella che conta. E l’idea è sovversiva. Di quelle che fanno crollare i sistemi.

– Pausa! – ripeto. Con voce convinta. Con spirito sindacale.

Siamo lavoratori … non schiavi! Facciamo valere i nostri diritti! Ci massacriamo di lavoro! Abbiamo pur diritto ad una pausa! I nostri genitori hanno lottato per questo! Non facciamoci mettere i piedi in testa da questa macchina capitalista!

Sono già in piedi. Il giacchetto in una mano. I soldi per la macchina del caffè nell’altra. La sigaretta in bocca.
La cosa assurda è che prima di venire assunto non bevevo caffè, né fumavo … poi … mi assunsero … il tutto a riprova della mia ferma convinzione che lavorare nuoce gravemente alla salute.

Fumate le mie tre sigarette, bevuti i miei tre caffè, fatti i miei dieci minuti di chiacchiere, torno in ufficio con aria indaffarata.
Trovo Arturo che, con le cuffie in testa, sta parlando con un cliente.
Ripeto: non ho ancora una idea chiara di cosa stiamo facendo qui, di come e a chi vendiamo qualcosa. Nei miei periodi più nichilistici mi chiedo anche se abbiamo clienti.
Beh, clienti (quasi) sicuramente ne abbiamo, ma sicuramente non quello al telefono con Arturo.
Perché al telefono con Arturo non c’è nessuno.

Arturo sta guardando dal sito della Gazzetta le sintesi delle partite di domenica.
Lo si capisce dal rumore di sottofondo, nemmeno poi tanto di sottofondo, dato che inonda l’ufficio: la telecronaca, i cori ‘chi non salta un interista è’ (in fondo all’ufficio il fanatico juventino Michele salta sulla sedia, forte del 2 a 1 fuori casa a San Siro, ma sempre fissando lo schermo, sempre scrivendo sulla tastiera, iperimpegnato, iperprofessionale: ha una scadenza).

Arturo sta guardando dal sito della Gazzetta le sintesi delle partite di domenica, solo che si è dimenticato di attaccare il jack e la telecronaca che crede di sentire in cuffia in realtà è sparata dalle casse.
Indico il jack ad Arturo.
Lui non dà a vedere di essere stato colto in flagrante.
Anzi, mi indica col dito davanti alla bocca di fare silenzio (lo ho disturbato mentre sta parlando con un cliente!), prega il ‘cliente’ di rimanere un attimo in linea, attacca il jack, dice “adesso mi sente meglio? perfetto …” e continua la sua conversazione simulata al telefono. Senza fare una piega.

Preso dalla assurdità della situazione, abbasso la guardia e, quando torno presente a me stesso, mi scopro a fissare le cosce della superfiga. D’istinto alzo lo sguardo per vedere se se ne è accorta.
Se ne è accorta.
Prendo a fissare ininterrottamente un punto fisso sulla parete e mi dirigo alla mia postazione.
Che poi la superfiga è la mia preferita. Innanzitutto perché è superfiga. Ovvio. Ma anche perché è l’unica che non finge di essere sempre così stramaledettamente superimpegnata. Anzi. Se ne sbatte proprio. Passa direttamente tutta la giornata al cellulare a smessaggiare con il quarantenne brizzolato di turno che potrebbe essere suo padre.

Alza gli occhi dal cellulare giusto quattro volte al giorno.
Una è per rispondere al telefono di lavoro.
Risponde con una voce soave. Una voce da Regno dei Cieli.
Risponde supercarinissima, supergentilissima, supercortesissima.
Una cosa che già le vuoi bene e ti ha detto solo “pronto”.
Una cosa che butti giù il telefono e sei innamorato pazzo. E pensi ad una scusa qualsiasi per richiamarla. Per comprarle dei fiori. Dei cioccolatini. Per portala fuori a cena. Sposarla. La ami!
Risponde supercarinissima, supergentilissima, supercortesissima, con la sua voce soave, da Regno dei Cieli e, appena chiude la chiamata, tira fuori una voce rancorosa, assassina, la voce dello scaricatore di porto che, dopo sedici ore di lavoro, torna a casa e trova la moglie a letto con l’idraulico, lei ammanettata, in calze a rete, lui con la frusta: “tua madre! Quella gran mignotta!”.

Alza gli occhi dal cellulare giusto quattro volte al giorno.
Una è per rispondere al telefono di lavoro.
Le altre tre per beccarmi che le guardo le cosce.

… continua…

3 commenti su “Racconto umoristico: “Quello che non capisco” (puntata 5 di 9)”

    1. per altro … senza far nomi … ma dovresti riconoscere sia la voce angelica che il collega straimpegnato con il cliente … hihi

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