Play Station: quello che odiano le donne

Racconto umoristico: “Che non sarebbe durata” (puntata 6 di 7)

Play Station: quello che odiano le donneNel frattempo Massimiliano si prova l’orologio. Sta forse pensando di tenerlo. Non fa che toccarselo (l’orologio!!!).

È lì che mi cade l’occhio sul braccialetto della fortuna che porta al polso. E mi ricordo dei cinquantatre braccialetti della fortuna di Benedetta. Cinquantatre. Era fatta così. Prima di ogni esame pretendeva che io le regalassi un braccialetto della fortuna. Sì. Cinquantatre braccialetti. Ma non tanto perché fossero tanti gli esami. Quanto per il fatto che studiava veramente poco e si affidava quasi esclusivamente ai braccialetti della fortuna. Quindi erano più le volte che veniva rimandata di quelle che superava l’esame. Esami venti. Braccialetti cinquantatre.

Non li toglieva neppure d’estate. Prendeva il sole col segno. Era sempre stata molto scaramantica. Si alzava sempre dal letto col piede destro. Non usciva di casa il venerdì 17. Seguiva l’oroscopo con puntigliosità, salvo imbestialirsi a fine giornata perché l’oroscopo non ci aveva preso (“qui ci sono cinque stelle per l’amore … e io sto con te! Capisci che c’è qualcosa che non torna!” – scherzava spesso). Non vestiva mai di viola. Una volta per il suo compleanno le regalai delle mutandine viola. Lei mi guardò senza capire. Poi capì. Rise. E lo facemmo. Per la cronaca, quella volta non c’erano Ronaldi di mezzo.

Accantonato Ronaldo, accontonata la gara di rutti, è il momento del torneino alla Play Station. PES. Tra le proteste delle donne. Tutti gli anni la stessa storia. Loro protestano. Noi ce ne strasbattiamo. Facciamo il torneino. Torneino di quelli tosti. Col coltello tra i denti. Recriminazioni sull’arbitraggio. Falli da dietro. Cartellini. Offese. Scorrettezze. Questione d’onore. Questione di vita o di morte. Prima del dolce. Del caffè. E dell’ammazzacaffè. Che poi … non ho mai capito … le gare di rutti sì … la Play Station no … le donne sono veramente strane!

E ancora il mio pensiero va a lei. A Benedetta. Quando eravamo a casa. Io alla Play. Lei a litigare, perché io ero alla Play. Ma tanto io non la ascoltavo. x triangolo destra triangolo L1 L1 L1 L1 L1 L1 cerchio. Goal! Non la ascoltavo. Come quella volta che se ne uscì dicendo qualcosa. Assolutamente non sapevo cosa. Era un periodo che le cose non andavano bene. Contropiede. L1 L1 L1 L1 L1 L1 quadrato. Espulsione. “OOOOHHHHHH PARLO CON TE! HAI CAPITOOOO?”. “Sì sì, ho capito!”. Non avevo capito. Ma c’era una punizione dal limite dell’area. Vinsi 2 a 1. Uscii poco dopo.

Quando rientrai, il palazzo era infestato da un nauseabondo odore di cavolo bruciato. Lo si sentiva fin dal piano terra. Proveniva dalla tromba delle scale. Non si poteva respirare. Presi l’ascensore, pensando a chi potesse essere mai stato a fare quel cazzo di casino. Avevo due cosette da dirgli a quattr’occhi! Presi l’ascensore che già meditavo offese. Fu all’altezza del terzo piano che fui colpito da un flah. “Spengi la pentola col cavolo, altrimenti brucia … OOOOHHHHHH PARLO CON TE! HAI CAPITOOOO?”.

Ecco che cosa aveva detto Benedetta! Ecco che cosa aveva detto! Lo avevo sentito. Ma non ascoltato. “Spengi la pentola col cavolo, altrimenti brucia”.
Avevo risposto: “Sì sì, ho capito!”
Non avevo capito. Un cazzo!
Ecco chi era stato a fare quel cazzo di casino! Io!

Arrivai in casa che lei era alla finestra. Quarto piano. Era appena rientrata. Aveva aperto la finestra. Finestra dalla quale stava gettando la mia Play Station nuova. Così. Dal quarto piano. Senza neppure guardare chi passava sotto. Mancò una vecchia per quaranta centimetri. Centrò in pieno una Mercedes Benz Classe A.

… continua…

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