L'orso di peluche Ettore

Racconto per bambini cresciuti: “Il regno dei gelati” (puntata 3 di 9)

L'orso di peluche EttorePaolino era un bambino sveglio.
Talmente sveglio che, anche quella sera, alle nove e trenta non dormiva. Aveva sentito la chiave girare nella toppa del portone. Nella fretta di nascondersi a letto, sotto le coperte, aveva lasciato la tv accesa e le patatine sparse sul divano: gli era caduto il pacchetto per la paura e le aveva rovesciate tutte.

Oltre a non poter guardare la tv e non poter restare sveglio dopo le nove, non poteva neanche mangiare le patatine.
– Sono troiai* – lo rimproverava il padre.
– Troie** – cercava di ripetere Paolino.
Ogni tanto sbagliava le parole.
Claudio non sapeva perché … ma su dieci parole che diceva suo figlio … tre erano sconce e quattro erano parole storpiate che ricordavano parole sconce. Le altre tre erano per lo più superflue nel contesto della frase. Di contorno.
– Troiai!
– Troie.
– T r o i a i.
– Troie.
– Va beh … non dire mai questa parola …
– Troie – disse Paolino.

Paolino non sapeva perché non poteva dire certe parole.
Ma sapeva che gli piacevano le patatine.
E sapeva che non poteva mangiarle.
Ma gli piacevano le patatine e poi … a volte si annoiava, specialmente in quegli ultimi giorni, in cui il papà rientrava tardi, la mamma neanche rientrava da lavoro e lo lasciavano con la baby sitter che non faceva altro che chiudersi in cucina e telefonare al fidanzato … a volte si annoiava e, quando si annoiava, faceva tutto quello che gli dicevano di non fare: accendeva la tv, non andava a dormire, mangiava le patatine e diceva le cose che il suo papà gli chiedeva di non dire. Mangiava le patatine. Piccolo pappone, le offriva anche ad Ettore: “vuoi troie?” [vuoi troiai?]

Ettore però rimaneva impassibile, incorruttibile, neanche sfiorato da pensieri impuri.
Non si sa se mosso da principi religiosi, motivi etici, letargo o andropausa.
Era stato fabbricato in Cina nel 1975.
Sì, probabilmente era anche in andropausa. Probabilmente.
Sicuramente era in letargo.
Così gli aveva spiegato suo papà.
Fortunatamente non gli aveva spiegato cosa era l’andropausa.
Fortunatamente gli aveva spiegato cosa era il letargo.

D’inverno gli orsi vanno in letargo.
Ora però era estate e non si era ancora svegliato.
– Caldo Ettore no sveglio [perché Ettore non si sveglia dal letargo ora che c’è caldo?]
– Visto che c’è, farà tutta una tirata … facciamolo dormire … si risveglia la prossima primavera …
– Occhei [ok] – diceva Paolino.

Da quando il papà gli aveva spiegato che “ok” era una parola inglese, non faceva che ripeterlo.
Occhei. Occhei. Occhei. Occhei. Occhei. Occhei. Occhei.
Non sapeva cosa fosse l’inglese, ma lui sapeva l’inglese.
Una volta aveva visto in tv una pubblicità. Parlavano di un corso di inglese.
Duri!
Dovevano studiare per imparare l’inglese. Lui non sapeva cosa fosse l’inglese e non sapeva cosa fosse “studiare”. Ma non doveva studiare. Lui sapeva l’inglese.
Infatti suo papà ogni tanto lo chiamava “Lord”. Perché “lord” è una parola inglese. O almeno Paolino pensava di aver capito così. Anche se non sapeva bene cosa fosse l’inglese. Aveva capito che le parole strane erano inglese: occhei, lord, big mecche, berlusconi, cazzo.

– Paolino, per caso hai mangiato le patatine?
– No, no …
– … e hai guardato la tv?
– No, no …
– Guarda che … se dici le bugie, ti si allunga il naso come a Pinocchio!
– … Finocchio …
Paolino ogni tanto sbagliava le parole.
Claudio non sapeva perché … ma su dieci parole che diceva suo figlio … tre erano sconce e quattro erano parole storpiate che ricordavano parole sconce. Le altre tre erano per lo più superflue nel contesto della frase. Di contorno.
– No, non “finocchio” … P i n o c c h i o
– Finocchio.
– P i n o c c h i o.
– Finocchio.
– Va beh … non dire mai questa parola …
– Finocchio – disse Paolino.

Paolino non sapeva perché non poteva dire certe parole.
Sembrava che lui non potesse dire niente. Sempre con quella storia che non poteva dire certe parole. Allora chiese al papà: “papà, ‘toria!”[papà, raccontami una storia!]

Quantomeno non gli aveva detto “papà, ‘troia”. Claudio tirò un sospiro di sollievo e riordinò le idee.
Si era preparato quella storia per tutta la giornata.
Non era stato facile.
Per niente.
Ma ce l’aveva fatta.

Adesso era venuto il momento di raccontarla.

NOTE:
* “Troiai”: termine toscano che sta per “schifezze”
* “Troie”: termine toscano che sta per … ehm … mi sa che lo sapete 🙂

… continua…

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